1. La nascita e l'infanzia
Viveva in Adernio (l'odierna Adrano), città normanno-bizantina dalle antiche origini in provincia e diocesi di Catania , una coppia di sposi (Almidoro e Alpina) oramai avanti con gli anni, appartenente al rinomato casato dei Politi, privi della gioia d'un figlio da amare, d'un erede, ma colmi di speranza e fede in Gesù Cristo e nella Vergine Deipara (Maria). Questi, a seguito di molte preghiere ed opere di carità ottennero dal Signore la grazia tanto attesa.
Fu così che un dì, a noi sconosciuto, dell'anno 1117 il pianto d'un bimbo proruppe nel quartiere di Gaiti della città d'Adernò, benedicendo la famiglia Politi.
Il tenero pargolo fu accolto come un dono del Cielo, e la misericordia di Dio, rendendo merito alla superba fede mostrata da quella coppia di sposi, fece sgorgare una tiepida sorgente ove venne gettata l'acqua con la quale il bimbo fu lavato dopo la nascita (Questo miracolo appartiene alla tradizione tutt'oggi viva nella città di Adrano. La Chiesa dedicata al Santo eremita concittadino è stata eretta sul luogo ove sorgeva la casa natia del santo, proprio dove sgorgò la fonte miracolosa).
Cogliendo già in fasce il dono della fede per mezzo dei genitori, il bimbo iniziò ad astenersi dal latte materno il mercoledì, il venerdì ed il sabato; ciò nonostante crebbe in salute e nella grazia di Dio, destando gran meraviglia presso conoscenti e familiari.
Educato dagli affettuosi genitori fin dai teneri anni alla preghiera ed alla carità, fu istruito alla lettura ed alla scrittura, verosimilmente in lingua greca e latina.
Con molta probabilità i suoi insegnanti furono monaci basiliani, ma non ci è dato sapere se Nicolò seguì le sue lezioni presso un monastero o se fu il maestro Don Andrea Politi (citato da alcuni autori come G.Morelli) a recarsi presso la sua casa (vista l'agiata posizione sociale della sua famiglia).
2. Giovinezza alle falde dell'Etna
Il piccolo Nicolò crebbe tra le vie della splendida Adernio, scoprì il dono dell'amicizia, ed oltre le mura della città vide l'incanto della valle del Simeto, i campi coltivati, i pascoli, ammirò l'imponenza e la forza del Mongibello (il vulcano Etna).
Il giovane vide anche il dolore della sofferenza, l'inimicizia, l'invidia, l'ingordigia; vide il peccato mostrarsi suadente ai suoi occhi: conobbe la tentazione, viscida serpe dell'umana esistenza.
Nicolò di fronte alle insidie del peccato, pose il suo cuore nelle mani di Dio: la preghiera, la penitenza, le opere, l'amore per il prossimo.
Così il fanciullo, quale lucerna nuova, serbò in sé come olio santo il Verbo divino, la Parola di Dio, e accese la fiamma d'una fede inestinguibile: una fiamma di carità, un lume di santità.
Il giovane Politi, saldo nelle parole del Vangelo e nei precetti della Chiesa, divenne egli stesso strumento della misericordia divina; infatti, intercedendo con la preghiera ed il segno della Croce, permise la guarigione dei malati, allontanò i lupi dagli ovili e soprattutto permise la conversione di molti uomini, sottraendoli alle spire di Satana.
Col passare degli anni la normanna Adernio vide crescere Nicolò in saggezza, sempre pronto a compiere la volontà del Cielo, aiutando il prossimo e materialmente e spiritualmente.
Il 17 agosto del 1926 la diocesi di Catania visse uno dei momenti più belli e commoventi, allorquando le reliquie di S.Agata ritornarono a Catania grazie a due soldati bizantini, Gisliberto e Goselmo, che le consegnarono al Vescovo Maurizio dopo un lungo viaggio da Costantinopoli, luogo ove il condottiero bizantino Giorgio Maniace le aveva trasportate dopo averle trafugate il 6 gennaio 1040. A partire da questa data in molte città della diocesi fu eretta un edicola votiva, una chiesa o intitolato un quartiere alla vergine catanese ed è probabile che proprio in quei giorni di festa che in Adernio il quartiere di Gaiti eresse un luogo di culto o un'edicola dedicata alla martire catanese proprio a poche decine di metri dalla casa in cui era nato Nicolò.
Agata, martire per amore di Cristo, donna la cui fede eroica e il cui candore verginale brillano nel firmamento dei Santi che intercedono presso il trono di Dio!
Quale grande esempio per quel bambino di nove anni circa: la verginità e la consacrazione a Cristo per la vita!
3. Le gesta dei cavalieri, l'adolescenza
Frattanto il Conte Ruggero II, uomo saggio e scaltro, nel 1128 ottenne con le armi, da Papa Onofrio II, l'investitura del ducato di Puglia, e successivamente, nel 1130 sfruttò lo scisma apertosi alla morte del pontefice, ottenendo dall'antipapa Anacleto II l'incoronazione quale Re di Sicilia. Questi eventi riecheggiarono in tutta l'isola e suscitarono in ogni città e villaggio molteplici reazioni e commenti.
Adernò, quale importante centro strategico della Valdemone, subì alquanto il fascino di tali eventi, ed i lavori di edificazione del Castello, ampliando la Torre Araba precedentemente eretta dai Saraceni, come pure la costruzione e ristrutturazione di molti edifici, avvalendosi di manovalanza araba, furono i segni tangibili della potenza dei Normanni.
La gesta dei cavalieri, i fasti delle corti Normanne, ... quanti pensieri dovettero balenare nella mente del giovane Nicolò; ma, nonostante questo turbinio di fantastiche immagini, il fanciullo scelse la via del Signore, scelse la croce di Cristo.
Così, negli anni dell'adolescenza, Nicolò, sempre più rivolto alla contemplazione dei misteri della passione di Cristo ed alla preghiera costante della Vergine Maria, Madre di Dio, decise di consacrare la sua vita al Signore.
Ma la serpe dell'umanità vide la purezza di Nicolò, vide quel candido giglio crescere in santità e ne ebbe terrore, sferrando un tremendo attacco al valoroso nemico.
Satana, empio e suadente, annebbiò le menti di Almidoro ed Alpina, celando ai loro occhi la fiamma di santità ardente nell'animo del loro amato figlio, li istigò a trovar presto una moglie per il loro unico erede.
4. La tentazione e la promessa di nozze
Fu così che, intorno al 1134, i genitori di Nicolò, valutando la loro età ormai avanzata, decisero di organizzare le nozze del figlio con una giovane bella e di buona famiglia.
All'avviso di tal decisione, Nicolò con sommo amore e rispetto rivelò ai genitori di non poter obbedire al loro disegno, in quanto, avendo fatto voto a Dio, egli era consacrato animo e corpo a Cristo.
Ma la negazione di Nicolò segnò l'apertura di un baratro. Parenti e amici cercarono probabilmente di condurlo ad accettare la scelta di quel futuro costruito con amore per lui dai genitori, ma nulla riuscirono ad ottenere. E le dolci parole di invito alla ragione, si tramutarono verosimilmente in ordine perentorio ed infine in minaccia.
Dopo vari e sofferti giorni, giunse il dì del fidanzamento ufficiale alla vigilia delle nozze.
(In generale il fidanzamento ufficiale consisteva, in quel periodo e in quei luoghi, nella registrazione notarile della promessa di matrimonio e nello scambio degli anelli tra i due giovani che divenivano fidanzati a tutti gli effetti. Pochi giorni dopo il fidanzamento ufficiale, spesso il dì seguente, solitamente si celebrava il matrimonio)
I coniugi Politi tentarono ancora una volta di convincere alla loro ragione il figlio, ma ottennero un nuovo insuccesso.
Almidoro, alla luce dell'ennesimo rifiuto di Nicolò, in preda all'ira per quell'atteggiamento, a suo avviso folle, segregò il figlio nella sua camera, onde evitarne una possibile fuga: è probabile, infatti, che Nicolò avesse già manifestato con chiarezza la decisione di lasciare la casa paterna per intraprendere la strada dell'eremitaggio, volendo seguire l'esempio dei santi eremiti legati ai monasteri greci e i monaci basiliani presenti nella Valle di Demenna.
5. "Alzati e Seguimi"
Giunta la sera, durante la festa di fidanzamento, allorquando la promessa sposa ricevette l'anello nuziale in dono dalla famiglia Politi, Nicolò, genuflesso in preghiera, supplicò Dio di esser liberato da quella prigionia e poter seguire la via della fede.
Passarono le ore. Giunse la notte e la festa di fidanzamento non accennò a concludersi ed i suoni e le voci a scemare.
Ma quella notte venne benedetta dal Signore. Il suo infinito amore si rivelò al candido fanciullo in contemplazione, senza destar timore nè turbamento.
Così, colto nell'atto di anelare il Cielo in un respiro intriso di preghiera, si fece manifesta una presenza angelica, recandogli il messaggio del Signore:
"Nicolò! Alzati e Seguimi.
Vieni con me e ti mostrerò un luogo salutare di penitenza dove,
se vorrai, potrai salvare la tua anima."
Egli, senza esitare, pur se con gran dolore per i suoi amati genitori e per tutti coloro che non avrebbe più rivisto su questa terra, scelse la salvezza, abbandonando la casa paterna.
Così a 17 anni iniziò la sua vita eremitica, fortificando il suo spirito in una grotta coperta di cespugli alle falde dell'Etna (identificata dalla tradizione nella grotta Aspicuddu sita ad alcuni chilometri a nord est da Adrano), armato della fede in Cristo, del digiuno e della preghiera, rendendosi docile strumento dell'Eterno Amore attraverso l'assidua meditazione della passione del Signore ed inflgiggendosi flagellazioni ed altre mortificazioni.
Non è da escludere che, nella fuga ed in questo avvio di vita ascetica, il giovane Nicolò avesse dei legami con la Chiesa della Madonna di tutte le grazie (tutt'oggi esistente in prossimità della Rocca di San Leo, a Nord della città).
6. Il nuovo annuncio, la nuova partenza e la tentazione
La famiglia di Nicolò non si diede pace e lo cercò a lungo, tanto che un giorno, dopo tre anni dalla sua fuga, probabilmente avvisati da qualcuno che l'aveva visto aggirarsi nella zona montuosa all'esterno del centro abitato, furono prossimi alla grotta dove dimorava. Inoltre, divenendo per il ventenne teoforo quel luogo poco adatto ai progressi della sua crescita interiore, un divino messaggero recò lui il nuovo messaggio:
"Nicolò non rimanere più qui, perché i tuoi ti cercano e se ti trovano, ti porteranno in patria, perdendo ciò che hai iniziato.
Dirigiti verso il luogo che ti mostrerò, verso Alcara, ai piedi del Monte Calanna, dove vivrai il resto della tua esistenza!"
Nicola s'incamminò, con la scorta miracolosa di un'aquila e abbandonato il paesaggio segnato dal vulcano giunse in una radura presso un bosco.
In questo luogo il Demonio in veste di ricco mercante lo tentò: "Dove vai, così misero e solo?"
Rispose il pellegrino: "Nel monte Calanna,presso Alcara, dove sono inviato."
Satana aggiunse: "Vieni con me, avrai miglior sorte. Ti mostrerò le mie città e le mie terre che con gioia donerò a te se compiacerai le mie parole, e nelle quali, ricco dei migliori piaceri, vivrai molto più giocondo che nel monte Calanna".
Nicolò meditò su quelle parole e riconobbe in quel mercante il Tentatore dell’uomo e subito, rievocando nell'anima la Passione di Cristo, rivolse gli occhi al cielo e disse:
"O Signore Gesù Cristo, per le tue cinque piaghe e per la tua passione,
fa' che sfugga ai lacci di questa tentazione".
Parole gradite a Dio perchè pronunciate da un cuore puro. Subito il demonio svanì.
7. Pellegrino tra i Nebrodi
Lungo il cammino sostò presso l'abbazia basiliana (o, più correttamente, greca) sita a Maniace, dove incontrò un giovane monaco, Lorenzo Ravì da Frazzanò.
Lorenzo, che aveva pressappoco la stessa età di Nicolò, comprese la volontà del Cielo e con affetto fraterno lo indirizzò verso il Monastero (greco) di Santa Maria Del Rogato e la guida spirituale dell’abate padre Cusmano (Don Urbano secondo il poeta Placido Merlino), detto il Teologo.
Il Santo eremita proseguì da Maniace il difficoltoso viaggio valicando i Nebrodi. Giunse così nel territorio della città d'Alcara (l’odierna Alcara Li Fusi – Messina ). Discese lungo la vallata; passò il fiume “a piedi asciutti” (come narra la leggenda), seguì poi l’aquila sua amica risalendo lungo lo scosceso pendio verso il monte Calanna.
Stremato, giunto a metà della salita presso una zona caratterizzata da grandi massi,fu costretto a fermarsi. La calura e l’assenza d’acqua lungo la via non lo dissuasero dal
compimento della volontà del Cielo.
Pertanto con fiducia incrollabile invocò l’aiuto di Dio e non tardò dal Cielo il divino avviso di battere la roccia col bastone ed ottenerne acqua.
Così Nicolò colpì col suo bastone cruciforme il masso che aveva innanzi e subito questo cominciò a trasudare acqua.
Questo luogo è ancor oggi detto Acqua Santa.
Poté pertanto riprendere il cammino inerpicandosi lungo il pendio.
D’un tratto vide l'aquila posarsi su una roccia dalla forma singolare. Un luogo che stringeva il cuore in gola si svelò ai suoi occhi: non una grotta ma un riparo, una spelonca ricoperta di rovi, una tana per serpenti e vipere, un incavo mercè delle intemperie: la sua nuova ed ultima abitazione.
L'aquila s'allontanò e poco dopo ritornò portando con se mezzo pane fresco e fragrante che depose all'ingresso della nuova dimora di Nicolò.
8. Il Monastero di Maria SS del Rogato
Il mattino seguente, come indicatogli da Lorenzo, Nicolò si recò presso il Monastero basiliano di Santa Maria del Rogato. Qui trovò la guida spirituale dell’abate Cusmano e scelse di aderire alla regola di San Basilio, intraprendendo il lungo percorso monastico che lo avrebbe legato per la vita a quella comunità cenobitica. Fu così che indossò l'abito ceruleo da eremita, il microschima (piccolo abito).
Da quel momento, ogni sabato, partendo dal proprio eremo, si recò alla Badìa di Santa Maria del Rogato, percorrendo un impervio tragitto, per partecipare alla celebrazione eucaristica ed entrare in comunione con Cristo, partecipando inoltre ai momenti di preghiera comune e di lavoro tipici della vita cenobitica basiliana.
Le sue giornate, nei pressi dell'eremo, trascorrevano nella preghiera, nella contemplazione: sette volte al giorno meditava la passione di Gesù e versava molte lacrime al pensiero delle piaghe del Signore. Recitava i Salmi e pregava con infinito amore la Madre di Dio, chiamandola “Immacolata Giovenca”, donandole il suo cuore.
Sedava i desideri del cuore e del corpo con la penitenza e con i cilizi, flagellando il suo casto corpo, volgendo il suo spirito completamente a Dio.
Si rese duttile alla mano di Dio divenendo l’immagine riflessa del Suo figlio, nostro Signore.
Soleva spesso levare al Cielo una preghiera:
“O Padre, o Figlio, o Spirito Santo, accogli la mia preghiera,
giacché mi trovo in questa solitudine e in te soltanto ho posto le mie speranze:
quando sarò partito dalla vita, ti supplico, accogli la mia anima.”
9. Nicolò, Lorenzo e il beato avviso
Nel 1162 Nicola, trovandosi presso il Rogato, vide l'amico Lorenzo. Entrambi erano molto cambiati dal loro primo incontro, ma i loro sguardi erano rimasti quelli di un tempo.
I due amici trascorsero insieme quella santa giornata presso l'eremo del Calanna. Lorenzo rabbrividì vedendo l'orribile condizione in cui Nicola aveva vissuto tutti quegli
anni e si stupì di come l'amico avesse fatto a sopravvivere così a lungo in quelle condizioni (nonostante anch'egli manifestasse segni straordinari di santità).
Pregarono e lodarono l'opera mirabile di Dio, cenarono con erbe, radici e col pane (questa volta intero) portato dall'aquila; infine, Lorenzo condivise con il santo amico
la rivelazione ricevuta dal Cielo relativa alla data della propria morte, confidando che questa sarebbe sopraggiunta il 30 Dicembre di quell’anno.
Al mattino del dì seguente si scambiarono l'abbraccio dell'addio, Lorenzo benedì Nicola e gli promise ancora un segno di saluto su questa terra. Nicolò non comprese subito, ma il 30 dicembre, domenica, allorché alla sera la sua grotta fu inondata di luce soave e da un profumo di rose, capì che in quel momento l'Anima di Lorenzo saliva al Cielo e gli mandava l'ultimo saluto.
Sabato 12 agosto 1167 Nicolò, si recò come di solito al Rogato e poi rientrò alla sua grotta affaticato, esausto. Sentiva il suo spirito sempre pronto e disposto a soffrire, ma il corpo era infermo, si reggeva a stento. Pregò il Signore di liberarlo dai lacci che lo legavano alla vita terrena e di accoglierlo in Cielo. Poco dopo una voce angelica gli rivelò che, due giorni dopo la festa della Dormizione di Maria (l'odierna Assunzione), la sua anima sarebbe salita in Cielo.
Nicola ebbe il cuore colmo di gioia e, ringraziato il Signore, si preparò all'ora sospirata della liberazione da questo mondo.
10. La festa della "Dormitio Mariae", l'elemosina miracolosa e l'ultimo saluto terreno
Martedì 15 Agosto, festa della Dormizione della Madre di Dio, si recò al Rogato per l'ultima confessione e ricevere per l'ultima volta l'Ostia santa: si congedò da tutti i monaci raccomandandosi alle loro preghiere. Nicolò confidò al Teologo Cusmano il giorno della propria morte e promise di ritornare al monastero.
Sulla via del ritorno, a poca distanza dalla sua dimora, fu spinto dalla debolezza a sostare sedendosi su un masso.
Passarono due donne dirette verso il paese d'Alcara, ciascuna delle quali portava un cesto pieno di frutta.
Nicolò tese umilmente la mano chiedendo in nome di Dio la carità di un frutto.
La prima donna rifiutò con disprezzo e passò avanti, mentre la seconda gli presentò la cesta invitandolo a servirsi a sua scelta; Nicolò, preso il frutto, invocò su di lei la benedizione del Cielo.
Entrambe le donne rincasarono, e accadde che quella avara trovò il cesto colmo di frutti marci, mentre la donna caritatevole trovò nel cesto coi frutti delle rose di rara bellezza e di profumo soave.
Il 16 agosto, vigilia del gran giorno, Nicolò ricevette l'ultima visita della fedele aquila che, dopo aver deposto il consueto pane miracoloso, si librò in alto e prima di scomparire in lontananza compì sulla grotta vari giri per dare l'ultimo saluto all’amico eremita.
Nicolò, commosso per quel gesto, ringraziò e benedì quella creatura di Dio.
11. La beata morte e l'intercessione di Maria
Per 50 anni fu come fiaccola ardente assiduo nella preghiera costante e nella penitenza, mantenendosi candido come un giglio e puro come acqua cristallina, nascosto al mondo come un tesoro preziosissimo e di inestimabile valore.
All'alba del 17 Agosto 1167, Nicolò, che aveva vegliato tutta la notte in preghiera, era nella grotta, inginocchiato, con la croce fra le braccia ed il libro delle orazioni aperto sulle mani, lo sguardo levato al cielo in estasi.
In tale atteggiamento, all'apparir del sole, avvenne il sereno transito e l'anima dolcissima di Nicolò volò tra le braccia di Dio.
Al dischiudersi delle porte del Paradiso,un coro d’Angeli risuonò per la vallata, muovendo le campane della città d'Alcara e del Monastero di Santa Maria del Rogato.
La popolazione alcarese udendo lo scampanio prodigioso e ignara dell'eremita d'Adrano, ritenne che presso qualcuno dei monasteri dei dintorni fosse accaduto uno straordinario evento.
I cittadini si recarono pertanto al Monastero di Santa Maria del Rogato e dal Teologo abate Cusmano seppero dell'esistenza di tal Beato Nicola dei Politi d'Adrano eremita e che probabilmente lo scampanio udito era l'annunzio della sua morte.
Si iniziò una novena di preghiere all'Assunta, Patrona del Paese. Proprio alla fine della novena, il 26 agosto, un nuovo annunzio giunse al popolo.
12. Il ritrovamento del beato corpo
Il mattino del 26 agosto 1167 un pastore, Leone Rancuglia,spintosi tra le plaghe montuose della rocca Calanna alla ricerca di un bue che aveva smarrito, si trovò nei pressi di uno speco di roccia nascosto dalla vegetazione. Avvicinatosi al nascondiglio vi intravide un uomo in ginocchio: lo salutò e gli rivolse quache domanda.
Osservando l'immobilità dell'uomo genuflesso e non ricevendo alcuna risposta, Leone decise di scuoterlo col proprio bastone e improvvisamente isi ritrovò con un braccio paralizzato, inaridito, mentre contemporaneamente le campane della città di Alcara iniziarono nuovamente a suonare in maniera prodigiosa.
L'eremo del Calanna era così svelato al mondo ed il tesoro nascosto nella roccia veniva offerto agli uomini!
Leone si precipitò nella piazza del paese di Alcara colmo di timore e stupore e raccontò lo straordinario evento appena accadutogli.
Venne informato il teologo Cusmano e in breve tempo presto tutta la comunità, guidata da Leone, si recò all'eremo del Santo. Qui il pastore indicò il Sacro corpo ed immediatamente riebbe il braccio sanato.
Quindi si apprestò una portantina per condurre il corpo del Santo in città.
Ma i presenti dovettero ben presto mutare le loro intenzioni, infatti, a metà strada, il corpo dell'eremita divenne così pesante da costringere i portatori a deporre al suolo la portantina.
In quegli istanti di smarrimento un evento straordinario illuminò le menti degli alcaresi. Un bambino ancora lattante alzatosi dritto tra le braccia della madre, sollevata una manina cominciò a parlare dicendo: "Badìa! ... Badìa!...", suggerendo così al popolo di portare il corpo di Nicolò alla Badìa, il Monastero di Santa Maria del Rogato.
L'evento fu accolto come volontà del Santo di mantener fede alla promessa fatta all'abate Cusmano; pertanto, inteso il messaggio, i portatori furono capaci di risollevare il feretro e condurlo al Rogato.
Fu così che la città d'Alcara scoprì il Giglio del Calanna, e subito lo amò.
13. La rogazione miracolosa, la traslazione del corpo e l'autorizzazione al culto pubblico
Trascorsi 336 anni da quel giorno, a seguito di una siccità che si protraeva da molti mesi e minacciava la sussistenza degli abitanti del paese, il 10 maggio 1503, un pellegrinaggo penitenziale si diresse al Monastero del Rogato, presso la chiesetta dove dimoravano i resti mortali incorrotti del "Beato Nicolao", invocando la sua intercessione.
In poche ore s'addensarono le nubi e la pioggia cadde come una benedizione e molti presenti, accostandosi devotamente all'arca contenente il venerato corpo santo, ottennero la guarigione dalle proprie infermità, è riportata con particolare rilevanza la guarigione di molti uomini affetti da voluminose ernie inguinali che li opprimevano.
Un evento, inoltre, destò ancor più meraviglia tra i presenti. Una donna che viveva nella lascivia del peccato si accostò al venerabile corpo per toccarlo, ma l'arca intera si allontanò via da lei, dinanzi gli occhi di tutti. La donna cadde in lacrime e compreso il segno inviatole da Dio si convertì; dopo la confessione sacramentale si avvicinò al corpo dell'eremita sul quale depose un bacio con commozione e gratitidune.
La sera dello stesso giorno, a seguito di quanto accaduto, valutate le condizioni precarie della Chiesa e del Monastero (gravemente lesionati dal violento sisma del 10 giugno 1490 ed ormai inabitati) e per timore che qualcuno potesse trafugare il corpo santo del Beato Nicolao, i notabili di Alcara li Fusi deliberarono che pur senza autorizzazione della Santa Sede fosse necessario trasportare l'arca con il corpo dell'eremita nella chiesa di San Pantaleone, la "parrocchia", all'interno del centro abitato, e così fecero.
Per tuttavia sanare l'avvenuto trasporto fu stabilita la stesura e l'invio di una supplica al Papa onde inoltre chiedere di poter celebrare il 17 agosto la festa in onore del santo eremita in paese e presso la chiesa eretta sull'eremo, nella ricorrenza della sua morte.
Il 7 giugno 1507, il papa GIULIO II concesse quanto richiesto nella supplica, autorizzando il culto pubblico e sancendo di fatto la santità dell'eremita di Adrano.
14. L'amara disputa
Anche in Adernò, ove il ricordo della prima sorgente miracolosa e del primo eremitaggio erano ancora vivi nei ricordi del popolo, giunse la notizia del ritrovamento di Nicolò Politi e della elevazione agli onori degli altari, pur se non è certo quando storicamente questo avvenne.
Con certezza è possibile affermare che dal 1669 in Adrano si avviarono le pratiche notarili per la costruzione di una chiesa laddove la tradizione riportava la nascita del santo.
E' certamente da allora la città anche ed in particolare attraverso i suoi più illustri cittadini cercò di riportare in patria il corpo del Santo concittadino.
Tuttavia la disputa delle reliquie tra le due cittadine fu tanto amara quanto spiacevole, perché profondamente contraria allo spirito di comunione che aveva delineato l'intera vita dell'amato santo.
Ma l'intercessione di San Nicolò non cessò di mancare né di essere frutto di conversione e grazie copiose per entrambe le comunità e per tutti coloro i quali lo invocassero devotamente.